Adolescenza: piangere senza motivo. La tristezza in adolescenza.

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Adolescenza: piangere senza motivo.

Fra i tanti aspetti che fanno parte dell’immaginario che gli adulti hanno sugli adolescenti, la tristezza ha un ruolo piuttosto centrale.

È quasi come se la tristezza fosse una dolorosa tassa di accesso al mondo degli adulti.

L’adolescente è anche qualcuno che può essere un po’ appartato, tutto intento a leccarsi le ferite davanti alle prime delusioni amorose, davanti alle frustrazioni o all’insoddisfazione verso se stesso e verso la propria immagine.

Anche nel delicato caso della tristezza, però, si pone spesso la domanda: “è normale?

O meglio: ci sono situazioni in cui i genitori iniziano a pensare che un ragazzo stia affrontando un carico di sofferenza eccessivo per le sue forze.

Vediamo.

Piangere senza motivo… o un motivo c’è?

[Alcune forme di tristezza rappresentano dei successi della crescita, altre degli arresti][Video con sottotitoli]

Vedere un figlio adolescente piangere senza motivo rappresenta uno dei più forti spunti di preoccupazione sulla portata della tristezza che prova.

Diciamo che ci sono due aspetti importanti, nella puntualizzazione “senza motivo”

  • l’idea che se la prenda troppo per una piccolezza. Il pianto, cioè, sembrerebbe una reazione eccessivamente forte davanti ad un problema contenuto.
  • l’idea che la tristezza sembri venire da dentro più che da fuori.

Insomma, il pianto sembra ingiustificato dalle condizioni esterne e, anzi, d diventa comprensibile solo se ci si immagina parta da dentro all’adolescente.

Può essere abbastanza utile pensare a questi due aspetti come a delle paure relative ad un sentimento che pare fuori controllo e che, inoltre, sembra avere origine nelle misteriose profondità dell’animo umano (figuriamoci poi quando si tratta dell’animo adolescenziale).

Insomma, prima di tutto bisogna farsi le idee chiare su quanto stia succedendo.

Distinzioni di sesso

Mi pare utile fare prima di tutto una puntualizzazione.

Anche se per abitudine parlo dell’adolescente al maschile, generalizzando quando possibile ai maschi e alle femmine, nel caso della tristezza in adolescenza il sesso ha un suo peso.

Sicuramente per fattori sociali e culturali, ma anche per alcuni fattori psicologici che meritano una certa attenzione.

È lecito attendersi che una ragazza esprima le proprie sofferenze in modo più diretto e frequente di un ragazzo, ma questo non vuol dire che non sia necessario fare in ogni caso delle osservazioni attente e puntuali.

Quello che intendo dire è che ogni caso va valutato singolarmente con cura.

Cito due elementi che rischiano di passare un po’ inosservati:

  • una ragazza che piange di frequente può rappresentare sia un modo legittimo di esprimere le proprie emozioni, ma anche una forma depressiva diversa da quella che ci si può attendere in adolescenza (in cui prevale, ad esempio, il sentimento della rabbia).
  • un ragazzo che scoppia a piangere spesso non necessariamente sta mostrando un prezioso lato infantile di sé: potrebbe essere oltre al limite della propria capacità di tollerare un’esperienza dolorosa.

Con queste poche parole ho anticipato uno dei temi che vanno inevitabilmente affrontati, parlando di tristezza.

Semplice tristezza o depressione?

Riprendo l’idea che suggerivo all’inizio: una certa quota di dolore emotivo fa parte dell’adolescenza. È anche un banco di prova: si è grandi quando si è in grado di tollerare il dolore come i grandi.

Sicuramente in adolescenza la propria resistenza psicologica alla sofferenza cresce e matura e i meccanismi psicologici coinvolti iniziano ad assomigliare più a quelli dell’adulto che a quelli del bambino.

C’è da aggiungere, però, che ci sono altre specificità, nel caso della tristezza in adolescenza.

Per quanto siano sempre più robusti, è normale che gli adolescenti vivano le emozioni come qualcosa che sta più “a fior di pelle”, rispetto agli adulti. Sono cioè più facilmente inclini a forti espressioni emotive (come nel caso del piangere senza motivo).

L’adolescenza, poi è caratterizzata più di altre età umane da un certo numero di esperienze emotivamente provanti:

  • la perdita del regime di funzionamento psicologico infantile e relative sicurezze,
  • la necessità di valutare il proprio corpo di piccolo adulto (e, più in generale, della propria capacità di diventare adulti)
  • il primo impatto con un numero sostenuto di prove valutative di una certa severità (nella scuola o nello sport, ma anche più semplicemente con i videogiochi): per la prima volta l’adolescente ha il potere di cambiare la propria immagine di sé sulla base dei risultati che ottiene.

Insomma, l’idea che in adolescenza sia necessario prendere una certa dimestichezza con la tristezza non è poi così assurda.

Come in ogni età umana, però, c’è una sostanziale differenza fra la tristezza affrontabile tipica della quotidianità e quella inaffrontabile tipica della depressione.

E qui distinguere diventa particolarmente importante.

Adolescenza. Piangere senza motivo: tristezza o depressione?

La depressione in adolescenza è un tema delicato e complesso.

Ho scritto un articolo sulla depressione in adolescenza in cui mi sono preso lo spazio necessario per trattarlo e in cui si possono trovare informazioni molto più precise.

Mi limiterò ad approfondire un aspetto che mi pare centrale, anzi, a riprendere uno spunto che ho proposto all’inizio. Quand’è che uno scoppio di pianto è normale e quando dev’essere fonte di allarme?

Il criterio forse più importante è quello di valutare se questo scoppio sia qualcosa che aiuta la crescita o perlomeno qualcosa che non la ostacola.

Esperienze di dolore vero e intenso non possono e non devono essere evitate. Come sarebbe possibile imparare ad affrontare le difficoltà reali del mondo, altrimenti?

Quello che va sicuramente evitato, invece, è la sofferenza inutile.

Se sono temporanei, passeggeri o se portano ad una revisione della propria immagine di sé e della propria situazione, episodi dolorosi come i pianti immotivati hanno un loro utile e dignitoso ruolo: fanno crescere, lasciando alle spalle parti di sé a cui è necessario rinunciare (il che è solitamente doloroso) per rimpiazzarle con qualcosa di nuovo (il che, spesso, è spaventoso).

Precisazione: è utile pensare agli episodi di pianto come a qualcosa che rappresenta lo svolgersi di un processo simile (come una boa che segnali la presenza di un sommozzatore).

Quando la sofferenza è inutile

Quando invece un adolescente piange senza apparente motivo, ripetitivamente, dolorosamente e senza che nulla cambi, quei pianti possono rappresentare un’incapacità di assorbire un episodio depressivo.

Rappresentano, cioè, una sofferenza che continua a ripetersi identica senza che possa essere messa al servizio della crescita.

Dalla situazione dolorosa l’adolescente non impara nulla: lo fa solo stare male.

Vicende psicologiche come

  • lutti che non possono essere superati
  • autocolpevolizzazione
  • sensazione di inadeguatezza davanti a sé e agli altri (mancanza di autostima)
  • paura di non reggere il confronto con gli altri

se lasciate libere di esercitare il loro potere generano un dolore che si autoalimenta.

Di solito vedere un adolescente piangere senza motivo fornisce un segnale che fa sì che si costruisca un quadro di preoccupazione attorno allo stato di salute del ragazzo, soprattutto perché lo si collega ad altri segnali che portano nella stessa direzione. Questi pianti, però, sono un segnale particolarmente importante perché esprimono sofferenza in modo diretto.

Sono un messaggio.

Il pianto che si accompagna alle comuni sofferenze adolescenziali è importante in quanto è una richiesta di vicinanza e ascolto che può evolvere in un momento di sostegno e affetto in cui l’adolescente smette momentaneamente i panni del quasi-adulto indipendente per cercare un po’ di piacere nel contatto con i genitori.

Quando il pianto è l’espressione di situazioni di sofferenza radicata di tipo depressivo diventa fondamentale l’adolescente non parla, urla: “Non so cosa fare e ho bisogno di essere aiutato“.